AILANTO
Una serra per un Ailanto
La serra è un ambiente artificiale un luogo virtuale.
L’obiettivo è quello di creare un contrasto con ciò che è naturale e ciò che non lo è.
La creazione di un ambiente.
La creazione di un mondo.
Un ambiente che sta in mezzo, comunica, un ambiente di scambio, d'interesse, di condivisione e di conoscimento.
Un ambiente vivo.
Un luogo all'interno di un altro luogo:
un luogo simbolico.
Il progetto consiste nel costruire una piccola serra con materiali di recupero nella quale inserire un piccolo albero di ailanto
Le dimensioni della serra saranno ridotte e contestuali allo spazio per la sezione installazione
Tramite questa operazione vorrei creare un’immagine molto semplice e banale che sia la rappresentazione di me e l’ambiente che mi circonda.
L'essere con gli altri.
L'ailanto è un albero che m'interessa perché è un albero alieno, un intruso nel nostro ambiente. Mi piacerebbe prenderlo come simbolo.
Questo progetto vuole essere un gioco di scambi di posizione, un'allegoria, una storia.
La serra è un ambiente artificiale. La serra è un ambiente controllato, rappresenta un mondo. Essere nel mondo significa prendersi cura. Io mi prendo cura di una pianta, mi prendo cura di me stesso, mi prendo cura degli altri che mi stanno attorno.
Essere una specie aliena mi porta a un interesse diverso, quello di essere interessato a qualcosa, mi porta allo stupore, al piacere della scoperta.
Ailanthus altissima, in italiano albero del paradiso o ailanto, è una pianta decidua appartenente alla famiglia delle Simaroubaceae. È nativo della Cina nordoccidentale e centrale e di Taiwan ed è naturalizzato in Italia. Diversamente da altri membri del genere Ailanthus, è diffuso in climi temperati anziché tropicali. L'albero cresce rapidamente ed è capace di raggiungere altezze di 15 m in 25 anni, è però poco longevo.
Nella sua terra d'origine, la Cina, è detto, in Mandarino standard, chouchun (cinese: 臭椿, pinyin: 'chòuchūn'); qui l'albero del paradiso ha una lunga e ricca storia. È citato nel più antico dizionario cinese conosciuto e menzionata in innumerevoli testi di medicina cinesi per la sua riconosciuta abilità di curare mali che vanno dalle malattie mentali alla perdita dei capelli. Le radici, le foglie e la corteccia sono usate ancora oggi nella medicina tradizionale cinese, principalmente come astringenti. L'albero è stato estesamente coltivato sia in Cina che in altri paesi per l'allevamento del bombice dell'ailanto, una falena impiegata per la produzione della seta.
L'albero fu importato in Europa per la prima volta nel 1740 e negli Stati Uniti nel 1784. Fu uno dei primi alberi ad essere portato in Occidente in un'epoca in cui le cineserie dominavano le arti europee, e fu inizialmente presentato come una specie ornamentale di velocissima crescita. L'entusiasmo iniziale calò quando i giardinieri dovettero affrontare la sua capacità pollonante, la sua resistenza ad ogni tipo di ambiente e la sua tendenza a diffondersi spontaneamente. Proprio per i vantaggi della sua adattabilità e della grande velocità di crescita, l'ailanto venne largamente impiegato per le alberature stradali durante gran parte del XIX secolo, crescendo bene anche in situazioni difficili. In caso di terreni franosi e sterili da consolidare l'ailanto si è dimostrato prezioso e perciò è stato usato estesamente.
L'albero del paradiso è naturalizzato in molte zone d'Europa e degli Stati Uniti ed anche altre zone al di fuori del suo areale originario. In molte di queste è divenuta una specie invasiva grazie alla sua capacità di colonizzare rapidamente aree disturbate e soffocare i competitori con sostanze allelopatiche. In Australia, negli Stati Uniti D'America, in Nuova Zelanda e numerosi Paesi dell'Europa meridionale e dell'Europa orientale, è considerata una specie invasiva e quindi nociva per gli ambienti naturali. La sua eradicazione è difficile, perché l'albero ricaccia vigorosamente se tagliato; la lotta contro l'ailanto è necessaria dove esso entra in competizione con piante autoctone (in genere in aree già degradate dall'uomo), ma, naturalmente, non in altre situazioni, come nel caso di alberature cittadine o dove gli ambienti naturali non sono danneggiati dalla sua presenza.
Con il termine serra si definisce un ambiente creato appositamente per coltivare fiori e piante con le stesse caratteristiche del loro habitat naturale o per l'essiccazione di prodotti dell'agricoltura e della selvicoltura. In una serra riscaldata del Nord Europa si potranno quindi coltivare piante che solitamente si sviluppano in paesi dal clima tropicale; ugualmente, in serre refrigerate si potrà ottenere lo scopo opposto. Le serre quindi hanno la prerogativa di poter creare l'ambiente ideale per il tipo di piante che si vuole coltivare.
Le serre possono avere una struttura in ferro, in legno strutturale, in muratura o in alluminio; di solito poggiano su una base in muratura o su supporti mobili avvitati nel terreno ed hanno pareti e tetto in materiale trasparente; al loro interno si può far entrare luce, regolare il calore e variare il livello di umidità. Le pareti sono di vetro trasparente e il tetto è spiovente da uno o da entrambi i versanti e dotato di finestre ad apertura verso l'esterno per permettere l'aerazione.
Serra delle palme nel Giardino botanico reale di Edimburgo (Scozia)
L'orientamento più favorevole è a est-ovest con i raggi del sole che attraversano il rivestimento formando all'interno il ben noto "effetto serra"; i raggi vengono assorbiti dalle piante e dalla copertura della serra che, imprigionandoli al suo interno, provoca un innalzamento della temperatura. In una serra di struttura standardizzata, al centro si troverà un banco da lavoro affiancato da due bancali laterali che servono da appoggio.
Le serre sono suddivise in diverse tipologie a seconda della temperatura che si vuole raggiungere al loro interno e ad altre caratteristiche.
progetti per la serra dimensioni variabili contestuali allo spazio a disposizione
AILANTO
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Alberi nei campi
La Allocazione degli Alberi nelle Campagne
In questo racconto, vediamo gli alberi nelle Campagne, lungo i fiumi ed in periferia; questi alberi non sono cresciuti in natura, ma sono stati volutamente piantati dall'uomo; inizierò con quelli piantati da poco e poi quelli secolari che sono sempre presenti nel paesaggio; guardiamo bene come sono messi, per ri-produrli nel nostro micromondo.
- Gli Alberi e le Serre nei Vivai di Campagna.
Ci eravamo lasciati con gli alberi molto ravvicinati, che ci sono nei "vivai"; questi ambienti sono rarissimi da trovare in un plastico, ma possono ben coprire, quei "buchi" di fantasia, che ci capita per dei luoghi, che non sappiamo mai cosa metterci, perchè c'è poco posto, o solo perchè, NON sono quadrati ... ( angoli del plastico ? )
Le piante nel vivaio, finchè sono piccole, in genere sono nelle cassette di plastica colorata, messe una accanto all'altra e affogate nel terreno per meglio assorbire l'umidità, sono decine o centinaia ... come farle ?
Prendiamo un pezzo di cartoncino, lo dipingiamo del color "cassetta",( nero, giallo, rosso ) poi prendiamo una rete metallica, con il buco a quadretti della misura "cassetta", la appoggiamo sul cartone e ... la vedete l'idea ? no eh ?
Adesso verniciamo a spruzzo, del colore marron-terra opaco su questa rete-cartone; togliamo "subito" la rete, ci nevichiamo "subito" del fogliage color "piantina", e lo mettiamo ad asciugare, rovesciato a testa in giù, ed ecco che ci siamo fatti delle piantine, che "sembrano" incassettate, una accanto all'altra.
La vernice "passerà" un pò sotto alla rete, ma questo renderà meglio, il "bordo-cassetta" sporco di terra e le fogline "traboccheranno" un pò sui bordi. ( ... sembra quasi un racconto di ... micro-vegetazione )
Se vogliamo metterle anche in qualche serra, di quelle a forma di "mezzo-tubo", prendiamo dei fili di metallo curvati tutti eguali, li fissiamo al terreno, e poi sopra ci incolliamo una foglio di plastica trasparente abbastanza fino, così lasciamo, intravvedere anche il dentro.
L'interno però, lo dobbiamo modificare; lasciando al centro della serra, la classica stradina pedonale per l'accesso del "vivaista" alle piantine. ( ... altrimenti come ci lavora ? )
Volendo ingrandire questi vivai; dobbiamo considerare che quando le piante crescono, vanno messe più distanziate e poi, considerate che diventano più "pesanti" da trasportare; quindi i viottoli pedonali, diventano strade più larghe, utili per passare con i diversi mezzi agricoli, necessari al loro trasporto; diciamo che, le strade diventano "proporzionali" alla grandezza della pianta.
La posa di questo genere di Piante, deve essere per forza "equidistante", "razionale", messa in "filari" e sistemate per la comodità e l'uso dell'uomo; e questo, ci conduce direttamente agli albrei da "Frutto".
- Gli Alberi da Frutto in Campagna.
Abbiamo detto dei "filari", e la prima cosa che ci viene in mente sono le vigne, anche queste, sono piante da "frutto", ma sono coltivate in maniera molto particolare di cui abbiamo già parlato.
Gli altri alberi da frutto sono più grandi; meli, peri, aranci, peschi, e così via ... anche quì dobbiamo considerare che ci debba essere ai lati, lo spazio per le macchine agricole, per quei famosi trattorini con carrello, che aiutano i coltivatori, quando "ramano" ( in italiano = spruzzano gli insetticidi ), e quando devono raccogliere ... la frutta.
Detto questo dobbiamo "davvero" tenere presente; la stagione che abbiamo scelto, il tipo di Frutto che vogliamo fare, il tipo di Fioritura, l'altezza degli alberi, che non sono mai, nè troppo grandi nè troppo vecchi, e se vogliamo fare i precisini-ini, cerchiamo anche di collocarli nella "Regione" giusta. ( un aranceto in val d'Aosta ... ce lo vedo strano )
- Gli Alberi piantati lungo i Fiumi.
Parlando di Alberi piantati in fila, arriviamo a quelli lungo i fiumi di campagna; questi alberi, sono stati messi per consolidare gli argini, non sono "equidistanti", e delle volte, se sono troppo vicini all'acqua, sono piegati dal cedimento della riva, o dall'erosione di qualche piena che li ha "abbracciati", lasciando sui rami ... oggetti di plastica della nostra epoca inquinatrice ...
Quando il Fiume si avvicina alla città, allora gli Alberi cambiano; sono più belli, più grandi, più adatti a fare ombra, messi per benino in file "equidistanti" e quì c'entra il discorso "passeggiata"; con le panchine all'ombra, le aiule varie, le piste "ciclabili", i piccoli pratini curati e ... mettiamoci anche il piccolo Bar con il Chiosco dei gelati.
- Gli Alberi Solitari in mezzo ai Campi
L'alberone in mezzo al campo, quello che si vede nelle pubblicità o nei calendari, è un classico dei luoghi pianeggianti e caldi, sembrerebbe stupido, piantare un'albero, che dà noia al lavoro del trattore ... ma perchè ce lo hanno messo ?.
Questo Alberone, serviva nei tempi passati; ai contadini che dovevano rifocillarsi o riposare all'ombra ed al fresco, e che, erano troppo distanti dalla loro casa; al pastore che faceva riposare le pecore, al "buttero" ( Cow Boy Maremmano ), che era in "Transumanza"; queste piante secolari con grande chioma, avevano la sola funzione di rifugio temporaneo.
Ci sono altri tipi di Alberi solitari nelle campagne, che sembrano messi in maniera "illogica", ai lati dei campi; in realtà questi alberi servivano proprio come riferimento, come confine, per distinguere una antica proprietà ad un'altra.
Altri Alberi piantati in maniera "illogica", sono quelli messi a "coppia"; ma se guardate bene, vi accorgerete che questi due alberi "eguali", sono ai lati di un cancello, di una strada, di un viottolo, proprio, per pura bellezza estetica o riferimento stradale. ( e quì, basta aggiungere il cartello "Agriturismo", "Trattoria", "Ristorante", ecc. ecc. )
Dietro a questi ingressi, lasciamo la Campagna, ed entriamo nell'ambiente Urbano, nei Cortili, nelle Grandi Ville Antiche, nella Città, ma questo tipo di micromondo, ve lo racconto alla prossima.
Saluti dalla Toscana ... Armando FK
Guerra chimica all'ailanto
Qui siamo ovviamente per l'agricoltura biologica e, per quanto possibile, contro l'uso dei pesticidi. Combattere l'ailanto, però, è cosa davvero dura, come ben sanno gli amici che condividono la mia ossessione contro questo tremendo infestante (il contadino, Debora, Weissbach, nonché il nuovo blog dedicato, Ailanthus Extermination).
E allora, contravvenendo ai miei principi (e certo attirandomi la riprovazione del contadino), vi elargisco la ricetta di mio papà, che gli ailanti li combatte ormai da trent'anni, ossia da quando, mal consigliato, ne piantò uno per avere rapidamente un po' d'ombra. Ve la fornisco così come mi è stata data, senza averla provata di persona, e senza assumermi alcuna responsabilità sulle eventuali conseguenze che ne potranno derivare. La ricetta è Solado diluito al 2%, spruzzato sulle foglie. Li fa seccare immancabilmente.
Oltre che scontentare i nemici dei pesticidi, ora avrò scontentato anche i nemici delle multinazionali, visto che il Solado è un erbicida a base di glifosato prodotto dai "cattivi" per eccellenza, ossia dalla Monsanto. Ma, lo ripeto ancora una volta, relata refero.
Nel 1982 Joseph Beuys fu chiamato a partecipare alla settima edizione della mostra «Documenta», che ogni cinque anni viene tenuta nella cittadina tedesca di Kassel. Egli non portò una scultura nel senso tradizionale del termine, ma accumulò davanti al Museo Federiciano di Kassel un triangolo formato da 7000 pietre di basalto.
Ognuna di quelle pietre doveva servire a piantare un albero. Chiunque, versando una somma di denaro, poteva "adottare" una di quelle settemila pietre, e la somma ricavata sarebbe servita a piantare una quercia. Così, man mano, il mucchio di pietre andò riducendosi, fino a scomparire, e settemila nuove querce, con alla base una di quelle pietre di basalto, comparvero negli spazi circostanti la città di Kassel.
L’operazione si è protratta per cinque anni, in quanto l’ultima quercia è stata piantata nel 1987, quando Beuys era purtroppo già morto, ma in realtà l’opera si compirà in un arco molto più ampio, in quanto ci vorranno circa trecento anni prima che l’insieme delle querce piantate diventi il rigoglioso bosco che Beuys immaginava pensando a questa opera.
Non ci si può sottrarre a qualche interrogativo sul significato di questa operazione. L’opera non può essere acquistata né venduta, non può essere esposta in un museo o in una mostra, non può neppure essere fruita come fatto estetico, in quanto non vi si possono rintracciare tratti formali. Un tale concetto di "arte" è sicuramente diverso da quanto finora visto.
E tuttavia non si può negare che vi è un significato profondo e suggestivo in questa operazione di Beuys. L’artista ha sicuramente creato qualcosa, addirittura un enorme bosco, ma ciò che ha dimostrato è soprattutto che la nostra sensibilità verso i valori e i significati aumenta se vi è la mediazione dell’arte.
Piantare degli alberi è operazione che quotidianamente viene svolta in tutti gli angoli del mondo. Eppure, nella sua banalità, ha significati profondi, soprattutto se consideriamo la crisi ecologica che il mondo industrializzato attraversa. E così, attraverso un rito collettivo, segnato dall’adozione di una pietra, Beuys è riuscito a calamitare l’attenzione di tutta la pubblica opinione internazionale su un’operazione alla quale diversamente non avremmo accordato tutto il valore che necessita.
Ecco, dunque, il nuovo ruolo dell’artista nella società contemporanea: ritrovare quei percorsi della vita che ci riportino non ad apprezzare la bellezza, come fatto di edonismo o di piacere, ma a riconoscere i «significati» ed i «valori» che ci circondano e ai quali non possiamo rinunciare.
La parola solidarietà deriva, sul modello del francese solidarité, dall’aggettivo italiano solidario, variante desueta di solidale.
Tutti questi termini hanno alla base l’espressione del latino giuridico in solidum, che indicava l’obbligazione da parte di un individuo appartenente a un gruppo di debitori di pagare integralmente il debito.
Infatti l’aggettivo solidus - da cui proviene il sostantivo solidum - non significava soltanto solido nel senso di duro, compatto, robusto, ma anche intero, pieno. E allora chi doveva pagare in solidum doveva pagare l’intera somma.
E’ interessante ricordare che dalla stessa parola latina solidum deriva anche il nostro soldo, in quanto verso la fine dell’Impero, nel IV secolo, i governanti vollero creare una moneta, originariamente d’oro, il cui valore sarebbe dovuto rimanere stabile nel tempo, cioè una moneta solida in quanto forte: e la chiamarono appunto solidum, che è il progenitore dei nostri soldi.
Più tardi, nel Medioevo, si formarono interi eserciti di professionisti, che prestavano servizio a soldo cioè a pagamento.
Questi mercenari presero il nome di soldati: all’inizio delle compagnie di ventura, e poi, più in generale, di ogni tipo d’esercito.
Sebbene tutte queste parole abbiano una comune origine, non è facile collegare soldo - e soprattutto soldato - a solidarietà.
Ciò dipende dal significato completamente nuovo che il termine ha assunto a partire dalla Rivoluzione Francese.
Infatti, mentre prima si trattava di una parola di uso strettamente tecnico, che significava l’essere solidario o solidale in preciso riferimento giuridico - economico, a partire dal 1789 solidarité, in francese, è passata ad indicare, sul piano ideologico - politico, il sentimento di fratellanza, di fraternità che devono provare fra di loro i cittadini di una stessa nazione libera e democratica.
Non a caso, infatti, libertà, uguaglianza e fraternità sono state le parole nelle quali si sono tradotti i principi rivoluzionari.
Sul modello francese, più tardi anche in Italia solidarietà ha assunto questo significato, in un periodo in cui le lotte per la libertà politica andavano sempre più caricandosi di valori e problematiche sociali.
Così accanto alla solidarietà nazionale, sostanzialmente equivalente ad unità nazionale, si è potuto parlare anche di solidarietà di classe o addirittura di gruppo, ma sempre riferendosi a un appoggio, un sostegno reciproco simile a quello che esiste tra fratelli.
Questa solidarietà che si manifesta a qualcuno è un sostegno che spesso non si limita alle parole, ma tocca i fatti, anche molto concreti, come le numerose campagne di solidarietà che sempre più spesso vengono organizzate a favore di interi gruppi di persone che si trovano in condizioni di disagio, di necessità o di sofferenza.
Per questo assistiamo e partecipiamo a vere e proprie gare di solidarietà a favore di tanti nostri simili colpiti da sventure o calamità.
Oggi il valore di solidarietà si è venuto ad ampliare e ad approfondire fino ad abbracciare tutto il genere umano, nel convincimento che ogni altro è il nostro prossimo, senza distinzioni di razze, di culture o di fedi politiche o religiose.
La solidarietà, basata sulla comune appartenenza all’umanità, esprime in concreto il sentimento di fraternità in cui si traducono varie forme d’amore e di carità.
Una autentica cultura della solidarietà è veicolata dalle molte forme di volontariato organizzato grazie all’impegno di un crescente numero di persone.
Mettere le proprie energie e il proprio tempo al servizio degli altri rappresenta oggi una grande risorsa, un passo avanti verso il riconoscimento di valori civili e umani.
Il concetto di rete sociale
Parlando di rete in ambito sociale, intendiamo l’insieme di relazioni esistenti tra persone, anche se queste non necessariamente si incontrano nello stesso momento e nello stesso luogo. I nodi rappresentano gli individui, i gruppi, le organizzazioni, mentre le linee identificano l’insieme delle relazioni. Il concetto di rete può essere considerato un modo per definire la realtà di una persona, cioè il significato che questa attribuisce alle relazioni, al contesto in cui vive, e viceversa, il significato che gli altri, le relazioni ed il contesto attribuiscono alla persona stessa. Il concetto di rete assume, così, il ruolo di uno strumento di lettura della realtà psicologico-sociale.
DIFFERENZA TRA LA RETE ED IL SISTEMA La differenza sostanziale tra il sistema e la rete è data dal significato assunto dall’interazione. Se nel modello sistemico interazione significa interdipendenza, nel modello a rete questa significa comunicazione. Le unità componenti il sistema hanno, quindi, ruoli interdipendenti, specializzati e differenziati, finalizzati al funzionamento del sistema stesso. Nel reticolo, al contrario, le unità non sono necessariamente in reciproca interrelazione e, soprattutto, le eventuali interrelazioni non sono mirate al funzionamento della rete stessa. A differenza del sistema sociale, che ha come requisito necessario per la sua definizione il fatto che le “interazioni specifiche tra i componenti presi in esame siano più intense, abbiano natura distinta rispetto alle interazioni dei componenti stessi”, nel modello reticolare le unità non condividono necessariamente i fini, i valori, le culture specifiche. L’unico elemento ad essere obbligatoriamente in comune tra le componenti della rete è la relazione diretta o indiretta con il soggetto, individuale o collettivo, scelto come il centro del reticolo, portando quindi l’attenzione sulle relazioni tra le unità piuttosto che sulla rappresentazione delle unità stesse.
RETE A-CENTRATA (in una visione “copernicana”) la rete è per definizione priva di un centro. Questo significa, ad esempio, pensare ad una rete non gerarchica dove ogni nodo equivale all’altro ed in cui – qualora manchino i nodi che collegano aree adiacenti – il collegamento può avvenire per lontane connessioni. In questa metafora il rapporto tra locale e globale può essere ribaltato a favore del locale in quanto le trasformazioni di insieme sono descritte da trasformazioni locali ciò può essere anche interpretato come prevalenza dell’elemento orizzontale su quello verticale (esempio Internet).
RETE EGOCENTRATA (in una visione “tolemaica”) la rete viene costruita e descritta ponendo al centro una persona (ego) dalla quale si dipanano le sue relazioni. In questa immagine la rete sociale può essere definita come l’insieme delle persone che intrattengono una relazione con ego, cioè come una parte specifica della totalità di relazioni di un dato soggetto. Ogni persona infatti “trova, cerca o evita” nel corso della propria vita diverse persone e relazioni alcune delle quali possono essere ereditate, come la famiglia, altre formatesi nel corso del tempo. Questo insieme costituisce la rete sociale di ogni soggetto, diversa e specifica per ogni persona » “La rappresentazione temporale della rete è costituita dalla famiglia estesa che comprende le diverse generazioni; quella spaziale è costituita dall’insieme degli amici della famiglia, dei coetanei e dei vicini. La rete di ogni individuo è la somma totale dei rapporti umani che hanno avuto un’importanza durevole nella sua vita.” » La rete egocentrata è di particolare utilità nell’ottica psicologica in quanto offre l’immagine di un soggetto non isolato in un sociale generico, ma inserito in una trama di relazioni che l’analisi può specificare a vari livelli. Si tratta di un soggetto fondamentalmente attivo in quanto, come sopra accennato, la rete sociale è costituita solo in parte da relazioni in cui l’individuo si trova immerso nascendo e sviluppandosi l’altra parte è “costruita” dal soggetto stesso nel corso della sua attività e non è necessariamente statica in quanto il soggetto, attraverso l’azione, la può modificare sotto vari aspetti. D’altronde, in chiave psicologica, nessuna relazione è “passiva” nella misura in cui è sempre attraverso l’interazione che il soggetto ed i suoi interlocutori le danno un significato.
Tale idea di attività, a ben guardare, è anche rintracciabile nelle reti a-centrate, in quelle cioè che non trovano il loro centro in una persona fisica. Infatti l’idea di rete ci porta necessariamente ad un sociale costituito dalle relazioni che si creano tra le persone, tra le persone e gli elementi materiali e simbolici dell’ambiente e più ampiamente tra gruppi, organizzazioni, istituzioni. In altri termini, il concetto di rete evoca un’idea di società intesa non come una serie di “fatti” che si impongono sulla vita dei soggetti, singoli e collettivi, ma di una società che è costruita (e cambiata, trasformata, fatta, disfatta) dall’agire umano. Questa visione ha come evidenti punti di riferimento teorico le concezioni della società e del rapporto tra l’individuo e la società avanzate da Max Weber, da Rimmel, da Cooley, dai ricercatori della Scuola di Chicago.
Sono concezioni che si oppongono allo strutturalismo di stampo durkheimiano che vede la società soprattutto livello di fenomeni macrostrutturali quali la densità di insediamento su un territorio, l’insieme delle attività socioeconomiche, le grandi rappresentazioni collettive e così via. È evidente peraltro che anche queste concezioni strutturali non possono essere ignorate in psicologia di comunità, essendo ben dimostrato quanto il macrosociale agisca sui livelli “micro” delle interazioni.
Esempio dell’analisi di Collins sull’amicizia La scelta degli amici è determinata dal fatto che i gruppi amicali tendono ad essere omogenei in base alla classe sociale, al gruppo etnico di appartenenza, al sesso, all’età.
MARK GRANOVETTER sostiene che l’esperienza individuale è strettamente connessa alla dimensione macro della struttura sociale - ben oltre le intenzioni ed il controllo dei singoli individui – ma riconosce che il ruolo di numerose variabili (di cui la struttura dei reticoli individuali e la mobilità non sono che alcune tra le più importanti) debba essere collegato meglio con gli altri elementi in gioco.
di Ivan Ferrero
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